Itinerario nella Nurra, a nord-ovest della Sardegna

 

Il piatto forte di quest’angolo di Sardegna è naturalmente il mare, che con la sua costa fatta di golfi e calette, spiagge pigre e rocce a strapiombo, acque limpide e fondali invitanti, consente di praticare tutte le attività che possano venire in mente.

Anghelu Ruju – Vigneti Sella & Mosca

Forte o leggero, qui il vento non manca mai, come non manca nelle vicinanze uno specchio d’acqua divinamente calmo. E se invece desideri startene in contemplazione dall’alto di un promontorio o dalla terrazza di un bar, magari davanti a un bicchiere di Torbato di Alghero robusto e aromatico, allora sono gli occhi a fare festa. Con il mare: che offre la più spettacolare alternanza di turchese e di smeraldo, di blu profondo che diventa viola porpora dove il fondale basso nutre una folta prateria di posidonie.
Se nella Nurra il mare è il piatto forte, il contorno non lascia a desiderare. Numerose sono le attrazioni paesaggistiche, storiche e naturalistiche. Le strade sono comode, le attrezzature turistiche e sportive soddisfano un’ampia gamma di esigenze. Si può mangiare bene e bere anche meglio. Sembrano incredibili i racconti di qualche persona molto anziana su che cosa era invece questa striscia di terra, compresa fra Porto Torres, Alghero e il promontorio dell’Argentiera con l’appendice dell’isola dell’Asinara, fino la metà del Novecento: parlano di una terra spopolata e inospitale, infestata dalla malaria, dove era duro guadagnarsi il pane nei magri pascoli, con la pesca, con la raccolta del corallo ad Alghero, con gli stipendi del ministero della Giustizia per le guardie del complesso carcerario dell’Asinara che ospitava i criminali più pericolosi. Nelle campagne orlate dalla macchia non mancava neanche qualche bandito in libertà. Poi tutto è cambiato: la malaria è stata debellata subito dopo la Seconda guerra mondiale; poi le grandi opere di bonifica hanno creato una florida agricoltura e da ultimo sono venuti i parchi a offrire ricchi assaggi di natura mediterranea intatta. Nel frattempo un impetuoso boom del turismo ha attirato nuovi abitanti e creato lavoro, iniziative, ricchezza.

 

P.Torres - San Gavino
P.Torres – San Gavino

Il nostro itinerario attraverso la Nurra comincia da Porto Torres, dove arrivano i traghetti di linea da Italia, Francia, Spagna e dalla vicina Corsica. Appena sbarcati, quasi tutti scappano dalla città verso le grandi mete turistiche. Porto Torres in passato ha fatto notizia soprattutto per i tentativi non proprio riusciti di farne un grande polo industriale e tanto basta per giustificare la fuga. Ma è un peccato, perché due attrazioni culturali della città meritano di essere viste. La più suggestiva, nella sua mistica austerità, è la grande basilica di San Gavino. Ha quasi mille anni ed è in assoluto l’esempio più importante della fase antica dello stile romanico pisano, che poi fiorirà nei celebri edifici del Campo dei Miracoli a Pisa. Fu costruita nell’epoca in cui la repubblica marinara toscana contendeva e Genova il primato sulla Sardegna. Facciamo un passo indietro di altri mille anni ed entriamo nell’Antiquarium vicino al porto per fare conoscenza con un periodo poco conosciuto della Sardegna, quello romano. Le fonti ne parlano spesso come di una terra di deportazione, dove la gente che dava fastidio sul continente (di volta in volta malfattori, condannati politici, ebrei, cristiani) veniva mandata ai lavori forzati nelle miniere o a reprimere le frequenti rivolte dei sardi. Gli scavi archeologici di Porto Torres hanno rivelato una realtà meno angosciante: qui al tempo di Giulio Cesare arrivarono 500 cittadini romani, quasi tutti di umili origini, che dettero vita alla colonia di Turris Libisonis, diventata una florida città con templi, terme e tutto il necessario per una vita civile. Esportava soprattutto prodotti dell’agricoltura e della pastorizia sarda e aveva intensi rapporti con la città di Ostia. L’Antiquarium, sistemato molto bene per la visita, ci fa rivivere quel periodo con ricche collezioni di oggetti d’arte e di uso quotidiano. Lì vicino ci sono il ponte romano, lungo 135 metri a scavalcare il fiume Mannu, e i resti del cosiddetto “palazzo di re Barbaro”, leggendario signore di Sardegna e Corsica che avrebbe fatto decapitare perché cristiani Gavino, Proto e Gianuario. In ricordo dei tre martiri si celebrano solenni processioni in tutta la Sardegna. In realtà un “re Barbaro” non è mai esistito e il suo “palazzo” è quel che resta di un grande complesso termale romano. Gran parte della città antica, comunque, è sepolta sotto l’abitato di quella moderna.

Aurora a Stintino
Aurora a Stintino

Da Porto Torres puntiamo su Stintino e il Parco nazionale dell’Asinara. Si viaggia attraverso zone pianeggianti a pascolo orlate da scampoli di macchia mediterranea. Questo estremo lembo di Sardegna non è particolarmente arido ed è stato abitato dall’uomo fino dall’antichità più remota. La mappa indica la presenza di nuraghi. Troveremo più avanti siti archeologici molto interessanti e segnalati. Stintino è un borgo gradevole, a pianta regolare, costruito su una striscia di terra fra due porticcioli. Ha un’origine molto curiosa: nel 1885 il regno d’Italia, per fare dell’Asinara un bagno penale e un lazzaretto, ne fece traslocare l’intera popolazione: ai pastori sardi furono assegnati altri pascoli, mentre 45 famiglie di pescatori liguri furono insediate attorno a un’insenatura profonda detta “isthinthinu”, cioè “budello” in sardo, che ha dato il nome al nuovo paese. Anche oggi la pesca è qui un’attività importante e la bottarga è un leccornia da non trascurare. Ma la ricchezza del borgo viene dal turismo, grazie alle spiagge di sabbia bianchissima che si susseguono dalle antiche saline fino al Capo Falcone. Lungo questa striscia di costa sono sorti complessi alberghieri e residenziali, fortunatamente arretrati rispetto alla litoranea quel tanto da lasciare che alla spiaggia ci si arrivi attraverso la macchia e la duna. In quest’area ci sono aree di sosta sulla litoranea anche in corrispondenza de La Pelosa, la spiaggia più rinomata, meglio attrezzata per le attività balneari, e inevitabilmente anche la più affollata d’estate.

La Pelosa, Stintino
La Pelosa, Stintino

Chiude il golfo l’aspro profilo dell’Asinara, lunga 17,5 km. Sono disponibili visite guidate, al parco e all’area marina protetta che circonda tutta l’isola, su imbarcazioni in partenza da Porto Torres, Stintino e, in stagione, dalle spiagge attrezzate. L’interno lo si può visitare in bicicletta, a piedi o più comodamente a bordo di un trenino turistico. In quattro ampie aree costiere e altre aree minori, classificate di eccezionale interesse naturalistico e ambientale, non è consentito l’ingresso neanche a piedi. Che cosa offre l’Asinara? Soprattutto un’immagine della Sardegna com’era a metà Novecento, prima che il boom turistico la costellasse di alberghi e residenze per vacanze. Ci sono formazioni rocciose a picco sul mare, macchia e steppa mediterranea percorse da cinghiali e mufloni, bestiame inselvatichito al pascolo nei campi abbandonati: bovini, cavalli e asini, compresi i minuscoli asinelli albini, bianchissimi con gli occhi azzurri, che sono diventati un po’ l’emblema del parco. Si vedono tanti uccelli (marangoni dal ciuffo, pernici sarde, gabbiani corsi, falchi) e il mare è ricco di pesci e delfini. Ci sono anche tetri edifici che ricordano il passato penitenziario, compreso il carcere di massima sicurezza di Fornelli, che ha ospitato i più sanguinari esponenti della mafia e del terrorismo. Percorrere quel dedalo di celle e corridoi superando infinite cancellate è un’esperienza da sconsigliare a chi soffre di claustrofobia.

Asinara - scogliera
Asinara – scogliera

Ad Alghero e alle spettacolose attrazioni naturalistiche e archeologiche della zona attorno a Porto Conte arriviamo zigzagando sul versante occidentale della Nurra, la “riviera del Corallo”: qui il vento di maestrale non incontra ostacoli e quando soffia muove onde lunghe e alte che sono la gioia dei surfisti. Fra una scogliera e l’altra si aprono però tranquille insenature, guardate da antichi torrioni costruiti al tempo della dominazione spagnola per scoraggiare le incursioni dei pirati. La costa alta ha impedito la costruzione di una litoranea e i centri costieri si raggiungono seguendo deviazioni dalla viabilità interna. A chi ama le curiosità, il percorso offre l’occasione di visitare siti di archeologia mineraria: l’estrazione di metalli dura in Sardegna da qualcosa come 8.000 anni. Da Stintino si raggiunge il bivio di Cava d’Argilla e si prosegue per Canaglia: è stata un importante centro per l’estrazione di minerali di ferro fino al 1967. Oggi restano una chiesetta, il suo paesino e gli impianti minerari abbandonati. Si prosegue per l’Argentiera, dove si sono estratti minerali di argento, piombo e zinco fino al 1963. I vecchi impianti sono situati su un tratto di costa di particolare bellezza. Le miniere sono visitabili ma non sono state messe in sicurezza: quindi occorre estrema prudenza specie se si viaggia con bambini (si consiglia di visitare prima il sito Miniere di Sardegna). Si rientra verso la strada provinciale e, superata Palmadula, si prende a destra per Capo Caccia. Poco più a sud si incontra l’unico lago naturale di tutta la Sardegna, il Baratz, con le sponde coperte da bella vegetazione. Da qui si può raggiungere l’insenatura di Porto Ferro. La spiaggia di sabbia fine è protetta da tre torrioni spagnoli e circondata da dune e macchia. E’ la prediletta dai surfisti e nei tratti appartati anche da chi pratica il naturismo. Si riprende in direzione di Capo Caccia fino al bivio che sulla destra, porta alla Torre del Porticciolo. Incontriamo un campeggio e, dopo altri 200 metri l’arenile a sabbia e ciottoli interrotto da calette e rocce a picco sul mare.

Nurra
Nurra

Ancora una manciata di chilometri in direzione sud e arriviamo alla penisola che delimita a ovest il celebre golfo di Porto Conte. È una formazione calcarea ricchissima di fenomeni carsici: falesie imponenti a picco sulle onde e un’infinità di grotte solo in piccola parte esplorate e accessibili. La strada che porta al Capo offre scorci panoramici di bellezza che ha pochi confronti, in un ambiente dove la macchia mediterranea dà il meglio di sé per ricchezza e varietà: qui nidificano ancora l’ormai rarissimo avvoltoio grifone, il falco pellegrino, la berta maggiore, l’uccello delle tempeste. La flora conta specie rare abbarbicate alle rupi. L’area di Porto Conte e le acque circostanti, sono protette per il loro eccezionale valore naturalistico.
Si arriva all’ampio piazzale panoramico con vista fino alla città di Alghero. Ai piedi dello sperone roccioso del Capo si apre la Grotta di Nettuno, la più bella della Sardegna. Ci si può entrare scendendo i 656 gradini della vertiginosa Escala do Cabirol (Scala del Capriolo) o più comodamente con i battelli che fanno la spola da un approdo vicino. Il percorso interno alla grotta è lungo 580 metri e per buona parte segue la sponda del grande lago sotterraneo Lamarmora. Splendida la Sala della Reggia, con le colonne naturali alte 9 metri. In battello si accede anche all’Isola Foradada, celebre per il suo arco naturale, alla Grotta Verde, che ha restituito oggetti del neolitico antico vecchi di 8000 anni, e alla Grotta dei Ricami, con il suo lago sotterraneo lungo 120 metri, orlato da fantastiche formazioni calcaree valorizzate da una sapiente illuminazione.

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Nuraghe Palmavera - il villaggio
Nuraghe Palmavera – il villaggio

Il percorso verso Fertilia e Alghero lungo la SS 127 bis ci porta al grandioso complesso nuragico di Palmavera, che incontriamo sulla sinistra al km 45,450. Studiato dall’inizio del Novecento, è formato da un torrione principale (alto adesso 8 metri) che incorpora una torre secondaria. Il tutto è circondato da un antemurale difensivo munito agli angoli da torri-capanne, la più vasta delle quali è stata chiamata “delle Riunioni” per la sua probabile funzione originaria. All’esterno dell’Antemurale si vedono le capanne rotonde del villaggio, delle quali restano i muri. I tetti erano verosimilmente di tronchi e paglia e il tempo li ha cancellati. Il complesso nuragico risale all’età del bronzo, fra il VI e il XIII secolo avanti Cristo.
Da Fertilia, centro agricolo creato nel 1936 con la bonifica della zona e inizialmente popolato da agricoltori ferraresi e poi giuliano-dalmati, aggirando l’aeroporto arriviamo all’antichissima necropoli di Anghelu Ruju, che risale al 3.000 avanti Cristo. E’ costituita da 38 tombe sotterranee, che i sardi chiamavano “domus de janas”, cioè “case delle fate”. Lo scavo delle cellette ha fornito agli studiosi materiali importantissimi per la conoscenza del periodo di storia sarda che va dalla tarda età delle Pietra all’età del Rame. I resti umani ritrovati hanno consentito di farsi un’idea dell’aspetto di questi agricoltori della preistoria. Nessuna sorpresa: avevano un aspetto spiccatamente “mediterraneo” come i loro attuali probabili discendenti.
Il nostro viaggio nella Nurra si conclude ad Alghero, che per molti aspetti è diversa da tutte le altre città sarde. Intanto è l’unica che conserva il suo nucleo storico originario di città-fortezza: circondata da mura, attraversata da strade strette pavimentate a pietra, sulle quali si affacciano case e chiese vecchie di secoli. Poi è l’unica città sarda che ha i nomi delle strade bilingui, in italiano e in catalano: perché gli iberici sono qui dal Trecento. Le cose andarono così: i genovesi avevano costruito la città-fortezza ai primi del 1100, i pisani gliela contendevano con attacchi sanguinosi. Fra i due litiganti ebbero partita vinta gli aragonesi. Il loro re, Pietro detto il Cerimonioso, da devoto cristiano chiese al papa il permesso di prendersi Alghero. Lo ottenne e con l’aiuto di una squadra navale veneziana sconfisse i genovesi e li cacciò da Alghero. Vi installò una robusta guarnigione che però fu subito massacrata dalla popolazione insorta. L’anno dopo il re riconquistò la città e, smentendo il suo soprannome, senza tante cerimonie deportò tutti gli abitanti e ripopolò la città con catalani. E da allora chi catalano non era non poteva neanche varcare le porte della città, per nessuna ragione. E così l’algherese, un dialetto del catalano, viene ancora parlato qui da una parte consistente di cittadini.
Alghero vive oggi soprattutto di turismo. Il corallo, un tempo la risorsa principale, viene ancora raccolto a grande profondità perché di qualità molto pregiata. Quello che si trova in vendita nei negozi di qui è solo in piccola parte lavorato in città: il resto proviene dai laboratori di Torre del Greco. All’inizio del lungomare c’è il camping La Mariposa (per trovar posto con il camper è meglio presentarsi al mattino). È il punto di partenza ideale per una passeggiata lungo il lido, attrezzato con stabilimenti balneari, poi lungo il porto, per fare quindi il giro delle mura erette sulla scogliera, ammirare la torre dell’Esperò Reial, entrare nell’abitato e perdersi nelle sue stradine. Le facciate delle case nobiliari hanno una chiara impronta spagnola. Interessante il Museo diocesano di Arte Sacra, con la sua collezione di ori e argenti di fattura finissima: è stato inaugurato nel 2000 nell’Oratorio di Nostra Signora del Rosario. Da vedere pure l’interno della Cattedrale. Ideali per una sosta l’elegante Piazza Sulis e, sul lato opposto della penisoletta, i gradevoli giardini pubblici. Abbondano i ristoranti anche in posizione panoramica: occhio alla voce “pesce di giornata” il cui prezzo è lasciato in bianco nel menù. Perché si paga a peso. A peso d’oro, s’intende.

 

IN CUCINA

cucina nella nurraI piatti “di terra” più tradizionali della Nurra ci raccontano di un’agricoltura all’antica che trovava nei legumi, sapientemente coltivati e preparati, la base di un’alimentazione povera, ma sana e saporita. Fagioli e piselli, ceci e fave dominavano la tavola del contadino. Ma anche oggi vale la pena di cercare sul menu del ristorante qualche pietanza a base di fave: una ricetta locale le vuole aromatizzate con cipolline fresche e finocchio selvatico e servite con verza e salsiccia. Con il grande sviluppo turistico oggi si trovano nella Nurra tutti i piatti regionali sardi: dal pane “carasau” o carta da musica, ai “maloreddus” (gnocchetti di farina di grano), ai maialini e agnellini da latte cotti nel forno, al formaggio pecorino..
I piatti “di mare” raccontano invece tradizioni tutte diverse: catalana, certo, ma anche ligure e napoletana, soprattutto grazie ai “corallari” che operavano da Alghero. Al primo posto per squisitezza e prezzo c’è l’aragosta all’algherese (condita con olio e limone). A livelli più abbordabili il pesce condito con l’”agliata”, una salsa di aglio, pomodoro secco e peperoncino, che insaporisce il polpo, il gattuccio, la razza. Come antipasto, da provare il gazpacho di pomodoro e pesce azzurro. D’inverno da non perdere il “bogamari”, le uova di riccio da consumare crude con pane e vino rosso. Tutto l’anno meritano attenzione le paste condite con il sugo di bottarga (uova di muggine conservate sotto sale) e i piatti di crostacei.
Un discorso diverso va fatto per i vini. Qui la tradizione non c’entra per nulla. E’ stata l’enologia più raffinata che ha saputo negli ultimi tempi trarre da queste “terre bianche” bonificate, da vitigni indigeni o da altri importati, dei vini di assoluta qualità. Per citarne solo qualcuno, si va dal Torbato di Alghero al Vermentino, al Nuraghe. Chi vuole farsi un’idea del livello raggiunto dall’enologia della zona può andare in visita guidata alle cantine della Sella&Mosca, la maggiore azienda vinicola della Sardegna, che si trovano proprio accanto agli scavi archeologici di Anghelo Ruju, all’interno di un vigneto di 500 ettari.

Area Soste Sardegna

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