Testo di Davide Bernieri
Terra di antica colonizzazione e di radicata cultura contadina, con una cucina tradizionale ricca di prodotti unici e di usanze, forte nell’ospitalità e fuori dai circuiti più gettonati e trafficati: una pacchia per il camperista gastro-curioso!
Terra di “cerniera” le Marche, tra il Nord e il Centro Italia, stretta tra le coste adriatiche e lo spartiacque appenninico, in un continuo saliscendi collinare e montuoso ricco di spunti interessanti, tra vestigia storiche, paesaggi mozzafiato e… cucina tipica.
Perché uno dei segreti più piacevoli da scoprire da queste parti, in una vacanza su ruote o in un weekend mordi e fuggi col proprio instancabile camper, è legato all’incredibile varietà della cucina regionale, capace di attingere spunti dai cugini romagnoli, abruzzesi e umbri e di rimescolarli secondo il carattere particolare delle genti di queste parti, “laboriose ma inclini all’autoironia e all’assurdo”, come descrive i suoi conterranei la scrittrice Silvia Ballestra, originaria di Porto San Giorgio e marchigiana doc.
Naturalmente sono tante le chiavi di lettura per entrare in contatto con questo territorio, per questa volta abbiamo scelto di guardare le Marche dall’ottica enogastronomica, svelando ricchi “giacimenti” locali, alcuni ancora non conosciuti dai più, che sapranno dare grandi sensazioni a chi viaggia seguendo l’istinto del palato e delle papille gustative. Parliamo di una cucina a forte matrice rurale, nella quale rimangono vive antiche tradizioni, ricca di produzioni tipiche gelosamente tenute in vita sul territorio, con un’olivicoltura e una vinicoltura di qualità capaci di plasmare i panorami di alcune zone.
Peculiarità marchigiana
Come accade sempre nel nostro Paese, la visita a un giacimento enogastronomico non prescinde dalla possibilità di abbinare alla sosta di gusto una di cultura o di natura, secondo una triade che è riconoscibile dall’occhio attento ovunque in Italia, dalle Alpi a Lampedusa. Borghi medioevali, fortezze, la meraviglia dell’Alto Appennino e del Parco nazionale dei Monti Sibillini sono solo alcuni biglietti da visita regionali ben noti, ma è nelle strade secondarie, quelle che si arrampicano in collina e che, spesso, non sono le più agevoli per chi si porta appresso la “casa”, si trova la ricchezza e la grande bellezza di queste parti.
A nord, per le Marche gastronomiche sono ben chiari gli influssi dei vicini emiliano romagnoli, con due prodotti tipici della portata del Prosciutto di Carpegna e del Formaggio di Fossa.
Quest’ultimo è nato a Sogliano, in provincia di Forlì-Cesena, con l’abitudine, dapprima dettata dalle necessità di “sicurezza”, poi da quella del gusto, di fare maturare i formaggi all’interno di grotte scavate nel tufo, che conferiscono al prodotto caseario un aroma caratteristicoe inimitabile. Diversi comuni marchigiani del Montefeltro hanno assunto questa antica usanza e ancor oggi vi si produce un formaggio da latte vaccino, ovino o misto a pasta semi-dura, che matura in un sacchetto di tela all’interno delle fosse per un periodo compreso tra gli 80 e i 100 giorni.
Talamello è un centro dell’Alta Valmarecchia che in un referendum del 2009 ha deciso per staccarsi dalle Marche e “annettersi” alla provincia di Rimini, in Romagna.
Al di là di questo piccolo incidente “geografico-amministrativo”, in questo paese costruito su uno sperone di roccia arenaria si realizza questa caciotta che stagiona tre mesi in fosse appositamente realizzate, con un fondo in legno, le pareti in cannucciato e sacchi di tela a proteggere il prezioso contenuto. Il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, originario della zona, soprannominò i formaggi “Ambra di Talamello”, un omaggio alla loro preziosità e al mistero che ricopre tutto il processo stagionativo in fossa. Una sagra annuale (a novembre) è organizzata per celebrare l’apertura delle fosse e permettere al popolo gourmet di assaggiare questo particolare “formaggio da meditazione”.
Dai colli al crinale appenninico
Salendo i contrafforti appenninici si scopre un altro prodotto tipico, il Prosciutto di Carpegna Dop che prende il nome dall’omonimo paese, e dal Monte Carpegna che svetta a 1.415 metri di altezza. Cugino dei più celebri Parma e San Daniele, anche il Carpegna ha un’invidiabile posizione geografica, non lontano dal mare ma abbastanza alto da beneficiare di una forte escursione termica e di un clima secco e brezze.
Già dal 1400 emergono documenti che provano una produzione locale di prosciutto, grazie ai pascoli nei quali i suini stavano allo stato semi brado e al particolare microclima locale. Oggi il Carpegna Dop mantiene un elevato standard qualitativo con minimo 13 mesi di stagionatura e l’assenza di conservanti al di là del sale marino.

L’abitato di Carpegna, oltre a fornire la possibilità di degustare in loco il rinomato prosciutto crudo, è una delle porte di ingresso del Parco Interregionale del Sasso Simone e Simoncello, meta ideale per tutte le attività outdoor, dal trekking all’escursionismo, fino alla mountain bike, con decine e decine di chilometri di sentieri a disposizione nei 5.000 ettari del parco.

Una curiosità: sulla vetta del Sasso Simone Cosimo de’ Medici costruì la Città del Sole, città fortezza che doveva rappresentare il massimo grado di inespugnabilità con le sue costruzioni ardite a strapiombo sulle pareti. L’utopia durò solo un secolo, tra stenti e freddo la fortezza non entrò mai in funzione e fu abbandonata, per essere poi demolita e saccheggiata. Oggi rimangono poche tracce, la più impressionante delle quali sono le cisterne, ancora perfettamente a tenuta d’acqua.
Una patria del tartufo
Andando a zonzo per i giacimenti enogastronomici marchigiani non si può dimenticare Acqualagna, una delle capitali italiane del tartufo. La cittadina si trova nei pressi della magnifica Gola del Furlo, nella confluenza del torrente Burano, una terra circondata da boschi che diventano luoghi di raccolta per le diverse varietà di tartufo tutto l’anno, dal bianco autunnale al nero estivo.
Ogni tipologia di tartufo è protagonista di una manifestazione commercial-gastronomica che attira appassionati alla ricerca di tuberi da acquistare o per farsene una bella scorpacciata in loco. E magari, per favorire la digestione, è possibile scegliere uno dei percorsi naturalistici che attraversano la Riserva Naturale Statale della Gola del Furlo, comprese le due gallerie costruite in epoca romana che permettevano l’attraversamento degli Appennini e che testimoniano l’importanza di questi luoghi fin dall’epoca antica.

Quando si parla di primi piatti marchigiani dell’entroterra, i due simboli sono i vincisgrassi e i Maccheroncini di Campofilone.
I primi sono una pasta al forno simile alle lasagne, ma ancora più ricchi, con l’aggiunta di vino cotto (altro prodotto tipico marchigiano) o Marsala nell’impasto e condite con ragù, besciamella e altri ingredienti che variano rispetto alla zona, in un mosaico gastronomico che muta da paese a paese e fa di questa preparazione una sorta di bandiera identitaria: rigaglie di pollo, funghi, tartufi sono solo alcune delle differenze che troverete assaggiando questo piatto nelle varie province.

I Maccheroncini di Campofilone, invece, sono una pasta all’uovo tipica di questa località abbarbicata sulle colline nei pressi di Fermo.
Lavorati a mano nella loro caratteristica finezza ottenuta con il taglio a coltello, sono conditi con sughi ricchi, a base di carne, con l’aggiunta di vino, per una pasta dalla caratteristica scioglievolezza e capacità di catturare il condimento.
Altro pilastro della cucina marchigiana è il Ciauscolo, salame morbido a grana finissima dalla caratteristica spalmabilità della pasta, insaccato, ottenuto da tagli di suini nazionali, aromatizzati con sale, spezie, vino rosso, aglio pestato e semi di finocchio.
È proprio il finocchietto l’elemento unico e inconfondibile che regala freschezza e aromaticità a questo strano salume, in alcune zone lievemente affumicato, che diviene anche ingrediente per altre preparazioni, come un condimento per la pasta.
Il nome, derivato da “cibusculum”, starebbe a significare piccolo cibo o spuntino, che nell’usanza contadina veniva consumato con morigeratezza tra i pasti principali, magari spalmato su fette di pane casareccio tostate. Alcuni documenti attestano la sua esistenza già alla fine del XVII secolo, ma le origini risalirebbero all’età longobarda, in particolare nella zona di alta montagna dei Monti Sibillini.
Antipasto o finger food?
In un breve excursus sull’enogastronomia marchigiana da scoprire in camper, non possiamo tralasciare le celeberrime Olive all’ascolana, piatto realizzato con olive verdi in salamoia poi farcite con un ripieno a base carne e, infine, impanate e fritte.
Un finger food come dicono le più recenti mode alimentari d’oltreoceano, un antipasto caldo nella tradizione marchigiana, le cui origini risalirebbero al 1800. La varietà di olive utilizzata è l’Ascolana Tenera, di grandi dimensioni, raccolta verde poi messa in salamoia. Una volta denocciolate, le olive sono riempite di questo ripieno che ha un ampio ventaglio di ingredienti ma è sempre legato con uovo e formaggio grattugiato, poi sono fritte e servite calde.
Le Olive all’ascolana fanno tradizionalmente parte della frittura all’ascolana, è il piatto tradizionale del pranzo domenicale e della maggior parte delle celebrazioni più importanti, dal Natale alla festa patronale di Sant’Emidio insieme a verdure fritte (zucchine, carciofi, broccoli) e cotolette di agnello impanate e fritte con l’osso.
Dopo una libagione del genere e tralasciando la produzione vinicola marchigiana, caffè e ammazzacaffè sono più che consigliati: sempre nella zona di Ascoli Piceno è nata la tradizione di preparare liquori e infusi a base anice, il più famoso dei quali è detto “mistrà”, alcol di vino aromatizzato tramite l’infusione di anice appunto, che ha una gradazione alcolica che va dai 40 ai 60 gradi e che può essere usato puro, come digestivo, come correzione nel caffè, utilizzato nei dolci, o con la “mosca” – cioè con un chicco di caffè nel bicchiere. Più noti al grande pubblico due produzioni liquoristiche locali come il Varnelli, liquore secco all’anice prodotto dalla Distilleria Varnelli in provincia di Macerata, e l’Anisetta, la più famosa delle quali è quella nata ad Ascoli Piceno, inventata dal proprietario dello storico Caffè Meletti che perfezionò la ricetta di sua madre utilizzando l’alambicco, uno strumento che permette un’evaporazione molto lenta per estrarre tutto il sapore dai semi dell’anice. Da degustare ma naturalmente a motore spento!
Vini Marchigiani: non solo Verdicchio
Pensi ai vini delle Marche e subito affiora alla mente il verdicchio, certo il vino più rappresentativo di tutta la regione. Furono i Greci siracusani a introdurre la coltivazione della vite dopo aver fondato Ancona, che divenne subito un importante porto commerciale. I romani svilupparono la produzione vinicola e, in tutto l’impero, si diffuse il vino Piceno come sinonimo di qualità, tanto che per Plinio il Vecchio i vini del Picenum erano delicati d’aroma e saporosi nel gusto.
Il territorio collinare, la vicinanza del mare, l’escursione termica e l’esposizione favorirono un grande sviluppo vinicolo locale, anche come varietà di uve e di vini da esse ricavati. Oggi sono oltre 24mila gli ettari coltivati a vigneto per una produzione complessiva di due milioni di ettolitri, con una prevalenza di vini bianchi. Nel territorio regionale ci sono ben 19 Doc e 5 Docg: le Docg sono rappresentate da Castelli di Jesi Verdicchio Riserva, Conero, Offida, Verdicchio di Matelica Riserva, Vernaccia di Serrapetrona.
Seguendo il territorio marchigiano da nord a sud, troviamo in provincia di Pesaro le Doc Bianchello del Metauro, Colli Pesaresi (nelle tipologie bianco e rosso) e Pergola. In provincia di Ancona abbiamo innanzitutto il famosissimo Verdicchio dei Castelli di Jesi e il Rosso Conero (entrambi Docg) e la Lacrima di Morro d’Alba. Oltre alla Vernaccia di Serrapetrona Docg e al Verdicchio di Matelica Docg, il territorio di Macerata comprende le Doc Esino (Bianco e Rosso), Serrapetrona, Terreni di San Severino e Colli Maceratesi (Bianco e Rosso), San Ginesio. Ad Ascoli Piceno, infine, oltre all’Offida Docg, si trovano alcune delle Doc più interessanti degli ultimi tempi. Il Rosso Piceno (che comprende anche la tipologia Superiore) e il Falerio dei Colli Ascolani.
Marche Lonely Planet. Meraviglia nascosta ai più
La più importante guida internazionale per i viaggiatori ha inserito le Marche nei 20 luoghi da visitare nel 2020: Lonely Planet ha celebrato in questo modo la meraviglia di un territorio capace di offrire spunti così diversi, curva dopo curva, tra “maestose rovine romane, svettanti architetture gotiche, massicci castelli medievali e sublimi palazzi rinascimentali che custodiscono collezioni d’arte tra le più ricche d’Italia. Il tutto racchiuso tra alte montagne boscose e la placida costa dell’Adriatico e condito da golosi festival gastronomici”. Tutti fattori amati anche da chi sceglie di visitare questa regione con la propria casa su ruote.
Info utili
Aree di sosta e campeggi
Carpegna
Area sosta
Via Giuseppe Ungaretti, 13/5, 61021 Carpegna PU
GPS N 43.46504 E 12.20246
Sasso Simone e Simoncello
Parcheggio Camper Piazzale Europa
Via Casotti Tosi, 2, 47866 Sant’Agata Feltria RN
GPS N 43.86405 E 12.20546
Acqualagna
Camping Parco Le Querce
Pianacce, 50, 61041 Acqualagna PU
Monti Sibillini
Area Sosta Monti Sibillini
Riapertura a giungo 2020: per informazioni consultare il sito.
Ascoli Piceno
Seminario Parcheggio
Largo Ludovico Cattaneo, 63100 Ascoli Piceno AP
Telefono: 0736255472