L’Umbria meridionale, il Lazio settentrionale e i loro tesori, un itinerario buono in tutte le stagioni per le grandi suggestioni paesaggistiche e per l’incredibile quantità di “tesori” storici e architettonici da visitare.
Vista dal porto di Capodimonte sul lago di BolsenaLa tentazione è forte: stiamo percorrendo per l’ennesima volta l’Autostrada del Sole e ancora una volta ci sentiamo prigionieri del nastro d’asfalto e del suo fossato che non ci permette una deviazione per visitare quei bellissimi luoghi del cui splendore già è facile intuire guardando dal finestrino il profilo dei colli, la sequenza di borghi antichi. Per la verità una via di fuga c’è: uscire tra Orvieto per rientrare a Orte o viceversa. Ma così allungheremo il tempo di percorrenza, direte voi… Ma siamo camperisti o commessi viaggiatori? Fate come vi diciamo e non vi pentirete. In realtà davvero si potrebbe allungare il tempo di percorrenza se approfondiamo la visita a tutto quel che merita di essere visto… Fate un po’ voi!
Sorprendente Ficulle
Ipotizziamo di percorrere l’autostrada da nord verso sud; usciamo a Fabro e portandoci a Fabro Scalo ci immettiamo sulla SS 71 in direzione sud lungo l’antica Cassia. Arriviamo così a Ficulle, un borgo disteso sul versante nord del Monte Nibbio e conosciuto anche come il “paese dei cocciari” per la sua vocazione alla lavorazione della terracotta lavorata da maestri vasai.
Chi soffre dello stress del vivere metropolitano, arrivato in questo luogo avrà non pochi dubbi esistenziali. Infatti Ficulle si armonizza particolarmente bene con l’ambiente circostanze regalando l’illusione del tempo che si ferma, del vivere una dimensione più umana. Oltre alla visita dei luoghi di interesse, vale la pena incontrare qualcuno dei vasai che ancora oggi lavorano la creta. Uno di questi è Costantino Del Croce, ultimo di una lunga stirpe di vasai. La sua bottega, in Via Cassia 53, è un luogo magico in una casa di sassi, e davvero dà il senso del tempo che si è fermato. Non è difficile trovarlo al lavoro a tornire, infornare o decorare (tel. 0763 86044 – web.tiscali.it/bottegadelcroce).
Siamo ora pronti per una visita al borgo, di origine etrusca come testimoniano le grotte della zona che venivano utilizzate come sepolcri. Nel periodo imperiale il borgo assunse importanza come punto di controllo lungo la Via Cassia. Ficulle ricalca lo schema classico del borgo medioevale: un fitto intrecciarsi di viuzze, vicoli e piccole piazze. Da visitare il Castello dei Conti Bonavicini (X-XI secolo), del quale sono visibili i resti delle mura merlate e due Torri, la chiesa di S. Maria Vecchia, con il suo portale gotico, e alcuni importanti affreschi della seconda metà del Quattrocento, mentre, al centro del paese, c’è la chiesa di S. Maria Nuova in stile tardo rinascimentale (1606). Ma la chiesa alla quale i ficullesi sono più affezionati è quella della Maestà, risalente forse agli inizi del’600. L’antico culto verso la Madonna della Maestà si manifesta ancora oggi con una partecipata festa il 21 novembre. Nei dintorni gli appassionati di fortilizi non devono perdersi il Castello della Sala, tipico esempio di architettura medioevale (XII-XIII secolo) appartenuto ai Monaldeschi, che ne fecero un forte inespugnabile, oggi sede dell’azienda vitivinicola condotta dalla famiglia dei marchesi Antinori.
Orvieto, che splendore
Continuando lungo la Cassia ecco Orvieto con il Pozzo di San Patrizio e la Cattedrale con la sua celebre facciata.
Tra campi e vigne, Orvieto già si mostra superba al turista dall’alto della sua rocca di tufo, le cui pareti sembrano così impervie che si stenta a credere di poter giungere in città. Affacciata sulla vallata del fiume Paglia, in provincia di Terni, ha radici etrusche, passato medievale, fascino gotico e atmosfera mistica. I suoi due vanti principali, conosciuti in ogni angolo del mondo, sono la Cattedrale gotica (raro esempio architettonico in una terra, l’Italia, più legata al romanico) e, appunto, il Pozzo di San Patrizio. Ed è da un punto di vista fuori dai canoni che decidiamo di dare inizio alla scoperta di questa perla umbra: il sottosuolo. Il Pozzo di San Patrizio orvietano, profondo 53,15 metri e tra i più noti al mondo, evoca proprio quell’abisso e fa della nostra meta umbra una cittadina ancor più ricca di mistero.
Se il suo omonimo irlandese si circonda di infinite leggende, il Pozzo di San Patrizio orvietano è famoso ancor di più per la sua struttura. Commissionato nella prima metà del Cinquecento da papa Clemente VII all’ottimo architetto Antonio da Sangallo, doveva servire per approvvigionare d’acqua la popolazione in caso di assedio. Un vero capolavoro di ingegneria che vede due rampe elicoidali intersecarsi, ognuna a senso unico e autonoma: uno stratagemma per consentire ai muli di scendere e risalire dopo aver caricato acqua senza mai incontrarsi e dunque intralciarsi lungo il cammino. Con i suoi 248 gradini e 70 finestre può essere a buon diritto la prima meraviglia che il turista sceglie di visitare.
Il sottosuolo della città cela molte altre perle: contando solo quelle censite, sono infatti circa milleduecento le cavità artificiali realizzate sottoterra a partire dal periodo etrusco per ricavarvi cunicoli, cisterne e pozzi. Tra le varie opere di ingegneria sotterranea va visto certamente il Pozzo della Cava, scavato nei secoli avanti Cristo, ma utilizzato anche in epoca medievale e ristrutturato nel Cinquecento, lo si trova lungo l’omonima strada. La sua visita impressiona tanto per la l’interminabile precipizio quanto per le leggende, anche macabre, che attorno ad esso si sono create: tra i più profondi di Orvieto, ebbe fama di luogo assai pericoloso, capace di “ingoiare” corpi di soldati, coprire delitti, causare sciagure. Nel 1820, il Delegato Apostolico chiedeva che “i pozzi aperti ma inservibili, che sono pericolosissimi” venissero chiusi, ma così non fu e molte anime vi sparirono dentro. Oggi la fama è stata ribaltata e a Natale il Pozzo della Cava ospita un presepe di elevato valore artistico e grande creatività. Ogni anno cambia l’ambientazione storica e chi si trova a Orvieto nel periodo delle feste non può mancarne la visita.
Severa e mistica, la Cattedrale, nota in tutto il mondo, è una tappa obbligata.
Ritornati all’aria aperta, la presenza della Cattedrale si fa sentire ovunque, come impaziente di mostrarsi. E lo stupore di chi giunge in piazza del Duomo, finalmente a cielo aperto, si coniuga a un silenzio carico di mistica ammirazione davanti a un’opulenza di dettagli che vuole essere omaggio alla spiritualità di tutta una regione.
Voluta nel 1290 da papa Niccolò IV, la chiesa in verità nasce romanica (e non meraviglia visto che negli stessi anni il gotico muoveva i primi passi nella sua patria d’origine, la Francia). Il progetto è del grande maestro Arnolfo di Cambio, ma già 20 anni dopo il cantiere passa sotto la supervisione di Lorenzo Maitani, ideatore della facciata, oggi nota in tutto il mondo. Quel che ne nasce è un gotico tutto nostrano, con archi stondati sovrastati da cuspidi triangolari e abbelliti non solo da altorilievi, come vuole lo stile originario, ma anche da un’infinità di mosaici, in vero rimaneggiati nei secoli. Moderne lastre di bronzo raccontano le opere di misericordia e un rosone centrale, nella facciata alta, preannuncia la luce divina che illumina gli interni tanto severi e semplici da commuovere il fedele.
Divisa in tre navate, la cattedrale poggia su file di pilastri marmorei a fascioni bianchi e neri, come vuole la tradizione locale. La navata centrale ha soffitto a capriate mentre le restanti sono a volte, e non deve stupire se non tutti gli archi sono a sesto acuto: l’Italia rimane comunque legata a doppio filo al Romanico. Oltre all’architettura, il Duomo di Orvieto merita di essere visitato per l’eccezionalità delle opere d’arte che in esso trovano collocazione. Per citare solo le più importanti, nella cappella rinascimentale di San Brizio colpiscono gli affreschi di due grandi maestri attivi fra Umanesimo e Rinascimento: il “teorico della luce” Beato Angelico – che tanta influenza ebbe su un altro grande di queste terre, Piero della Francesca – e l’inquieto Luca Signorelli. Ma c’è un altro capolavoro che non può non essere menzionato: si tratta del Reliquiario del Corporale di Bolsena, in smalto traslucido (come da tradizione gotica tedesca), che riproduce la facciata del Duomo con scene della vita di Cristo e scene del miracolo di Bolsena. La sua presenza nella chiesa non è un caso: fu proprio per dare degna collocazione al Corporale che papa Niccolò IV diede inizio ai lavori della cattedrale.
Il miracolo di Bolsena
Nel Duomo la testimonianza di uno dei più importanti segni della Cristianità.
Ma forse non a tutti è noto di quale miracolo si tratti. Era dunque il 1263 quando il religioso Pietro da Praga, nutrendo dubbi sulla transustanziazione del corpo del Cristo, si recò a Roma. Facendo sosta a Bolsena, in provincia di Viterbo e oggi nota per il suo bel lago, si mise a celebrare messa sulla tomba di Santa Cristina: fu allora che vide il sangue stillare dall’Ostia consacrata per finire a bagnare il corporale e i lini liturgici. Fortemente scosso, Pietro da Praga si recò a Orvieto, residenza di papa Urbano IV. Il pontefice fece portare a Orvieto il lino insanguinato e lo mostrò ai fedeli. Un anno dopo venne promulgata la bolla “Transiturus”, che istituiva la festa del Corpus Domini. E questo proprio nella città allora controllata spiritualmente di Patarini, eretici che negavano l’Eucarestia.
Potere spirituale e potere temporale
Molti i palazzi che meritano di essere visitati e che fanno di Orvieto un gioiello di architettura medievale.
Per proseguire la visita a Orvieto rimanendo nei luoghi dello spirito, a brevissima distanza dal Duomo, dopo il Palazzo Vescovile, non passa certo inosservata la Mole tardo-duecentesca di Palazzo Soliano, detto anche Palazzo di Bonifacio VIII, che lo scelse come residenza. Anche dall’esterno è facile notare come la struttura sia composta da due sale, l’una sovrapposta all’altra: quella inferiore ospita oggi il Museo Emilio Greco, quella superiore il Museo dell’Opera del Duomo, entrambi meritevoli di visita. Due le tradizioni attorno alla sua realizzazione: secondo alcuni lo volle proprio il grande pontefice, secondo altri fu il popolo a farlo erigere in suo onore.
Ci si occupava invece di affari terreni all’interno del Palazzo del Capitano del popolo, realizzato nella seconda metà del Duecento per essere adibito a centro di potere. Oggi destinato a ospitare congressi, fu pesantemente rimaneggiato nell’Ottocento, ma conserva ancora splendide trifore ad arco e la merlatura ghibellina; gli scavi più recenti hanno portato alla luce reperti archeologici sia etruschi sia medievali, un tempio del V secolo, una cisterna e un acquedotto.
Il tempo scorre in fretta, ma non occorre orologio per sapere a che punto volge la giornata: basta alzare gli occhi e intercettare la mole della Torre del Moro, orologio ufficiale di Orvieto. Vi si può accedere da una delle porte del Palazzo dei Sette, vale a dire i rappresentanti delle Arti. Si tratta della torre civica e prende il soprannome dallo stemma sul portale acanto alla torre. Alta 47 metri, la torre culmina con due campane, una delle quali venne fusa a inizio Trecento per il Palazzo del Popolo e mostra i rilievi dei 25 simboli delle arti più il sigillo del popolo.
Una necropoli a forma di città
Quella del Crocefisso presenta tombe disposte come abitazioni.
Uscendo di poco dalla città si fa una balzo deciso nel passato. Del gran numero di necropoli presenti nella zona e sommerse dalle successive stratificazioni di epoca romana, quella detta “del Crocefisso” è la più significativa e meglio conservata. Deve il nome da un’incisione nel tufo all’interno di una cappella rupestre e la si raggiunge percorrendo una strada pedonale che, costeggiando la rupe, parte dal piazzale antistante la Porta Maggiore.
Le circa 70 tombe in tufo, edificate secondo lo stile etrusco e databili tra VIII e II secolo a.C., sono disposte come fossero case, e questo perché il culto funerario degli orvietani, simile a quello degli etruschi, prevedeva che il morto continuasse la sua vita nell’aldilà e con sé portasse la sua stessa vita: in queste tombe-abitazioni si ritrovano infatti fibule, specchi femminili, lance per i guerrieri e vari oggetti di uso quotidiano. Oggi non tutte le tombe sono visitabili, tra quelle accessibili si contano per lo più quelle monofamiliari e le più piccole. All’interno si può osservare il piano dove veniva deposta la salma, poi chiusa all’interno serrando l’ingresso con terra pressata davanti alla quale venivano posti cippi con forme diverse, ad indicare il sesso del defunto: a forma di cipolla per gli uomini, di cilindro per le donne. Al di sopra dell’ingresso, inoltre, un’incisione indica il nome o la famiglia d’origine del sepolto.
Proseguiamo nel Lazio ma facendo una deviazione eccellente, il lago di Bolsena: sarebbe un peccato saltare a piè pari questo specchio d’acqua di origine vulcanica.
Ci lasciamo alle spalle la rupe orvietana, scendiamo (23 km) verso il versante laziale fino a raggiungere la cittadina di Bolsena, affacciata sull’omonimo lago. Il binomio natura/borghi contraddistingue appieno quest’ultima tappa. Siamo nell’Alta Tuscia Laziale, in provincia di Viterbo, per scoprire il quinto lago per estensione in Italia (113,5 km quadrati) e il più grande lago in Europa di origine vulcanica. Tutt’intorno alle rive del lago spaziano campi coltivati, vigneti e uliveti.
Un luogo perfetto per tantissime attività all’aperto in acqua e non. Durante la bella stagione si può nuotare, fare windsurf o escursioni in canoa. Gli amanti del jogging o della mountain bike potranno avventurarsi sui sentieri che costeggiano le colline e godere della vista del lago dall’alto. Il lago di Bolsena è anche rinomato per la sua pescosità. Potrete visitare i diversi borghi che si affacciano sul lago, Bolsena in primis, con il suo grazioso centro storico con vista sul lago.
Bolsena, come detto, è nota tra i fedeli anche per il miracolo del 1263 dell’ostia consacrata che ha iniziato a sanguinare. Nella chiesa di Santa Cristina è ancora oggi visibile un’epigrafe in marmo in cui viene ricordato il prodigio, mentre, come abbiamo già accennato, il corporale intriso di sangue è conservato presso il Duomo di Orvieto, che venne costruito proprio per questo. Ci spostiamo di 15 km sulle coste meridionali del lago per scoprire la cittadina di Montefiascone e un’altra storia che coinvolge sì un uomo di chiesa, ma ha risvolti molto più terreni. Il territorio di Montefiascone è rinomato per la produzione dell’Est! Est! Est!, un vino dal nome assolutamente singolare! La leggenda racconta che l’Abate Giovanni Defuc, viaggiando verso Roma con il suo servitore Martino, usava inviarlo in avanscoperta per assaggiare il vino e, se questo era di ottima qualità, il servitore scriveva Est! (ovvero c’è) sull’uscio delle locande per consigliarle all’Abate. Una volta giunti a Montefiascone, il servitore scrisse sulla porta di una locanda Est! Est! Est! Il vino era talmente di ottima qualità che non bastava scriverlo una sola volta.
Il vino piacque anche all’Abate, tanto che si fermò per ben tre giorni e, tornando da Roma, decise di fermarsi a Montefiascone e restò nella cittadina fino alla sua morte (che pare sopraggiunse per il troppo bere) tanto che fu seppellito in paese nella chiesa di San Flaviano. Montefiascone è quindi una tappa obbligata per chi vuole scoprire il vino che stregò l’Abate Giovanni Defuc, ma anche per godere del lago di Bolsena dalle meravigliose distese di vigneti circostanti. Il borgo si trova in altura sui Monti Volsini e domina dall’alto il lago, le due isole e la vallata adiacente.
Bomarzo e i mostri
Da Montefiascone rientriamo verso Orte e riprendere l’A1, ma facciamo una curiosa ultima deviazione: verso Bomarzo.
Stavolta il centro dell’attenzione non è il paese, anche se caratteristico e di antiche origini, bensì il celebre Parco dei Mostri, un’opera unica nel suo genere. Lo volle il principe Pier Francesco Orsini “sol per sfogare il core”. Lo ideò il grande architetto Pirro Ligorio (quello che completò San Pietro dopo la morte di Michelangelo) e grazie alla sua immaginazione e maestria ne uscì un capolavoro che dura nel tempo.
Entrando nel Parco dei Mostri sarete accolti dalle due sfingi; poi, quasi all’improvviso, appariranno animali e figure di pietra: l’elefante che uccide un guerriero, draghi che lottano, l’orco, Ercole e Caco, orsi in agguato, animali a tre teste, Nettuno e, infine, vi aspetterà una maschera demoniaca con la bocca spalancata sormontata da un globo con un castello, simbolo araldico del ramo orsiniano cui appartenne Pier Francesco Orsini. Sono tutte sculture risalenti al 1552, scolpite nei grossi blocchi di pietra che sembrano sorti dal suolo. In seguito alla morte di Orsini nessuno si curò più di questo gioiello di arte manieristica; dopo secoli di abbandono fu fortunatamente salvato dall’oblio e restaurato.
Cosa mangiamo?
Gusti decisi e preparazioni antiche quelle che arricchiscono le tavole orvietane. Si inizia con i salumi, da assaporare con pane abbrustolito ripassato nell’aglio. Si passa a tagliatelle, risotto o gnocchi al tartufo, oppure al brodetto di pesce, alle tagliatelle alla trota, ma anche a cotechino o salsiccia con le lenticchie, pancotto, minestra di ceci e castagne. Tra le carni la scelta è assai ardua: l’agnello tartufato o la gallina ‘mbriaca? Le scaloppe al Vinsanto o il castrato ai ferri? E perché non lasciarsi tentare dalla testina di agnello fritta, dai tordi allo spiedo, dal cinghiale alla cacciatora? Se invece si preferisce proseguire con il pesce allora ecco carpe in porchetta, anguille in tegame, persico fritto, arrosti di anguilla e coregone.
Per chiudere in bellezza, nel periodo della vendemmia vanno assaggiati i biscotti al mosto e tutto l’anno la torta ai pinoli. Su tutto, lo splendido vino della zona, che sia l’Orvieto Doc nelle sue declinazioni e vinificato dalle uve Procanico, Verdello, Malvasia, Grechetto e Drupeggio, profumato, secco, armonico e leggermente amarognolo, oppure i rossi di media forza o strutturati.
Non è un caso se in una città dove la cura data al cibo è elevatissima sia stata fondata l’Associazione internazionale Cittaslow (www.cittaslow.org), ispirata ai principi di Slow Food e fondata ad Orvieto nell’ottobre 1999. La sede centrale della Rete internazionale di Cittaslow è ospitata a Orvieto presso il Palazzo del Gusto, nel quattrocentesco Convento di San Giovanni. Intento dell’Associazione è mantenere salda l’identità delle comunità, messe a dura prova dalla globalizzazione, anche dei sapori. A Montefiascone, l’“Est! Est! Est!” è da accompagnare, vista la pescosità del lago, a luccio, tinca, anguilla, coregone, latterino e persico reale. A Bolsena in particolare è rinomata la Sbroscia, una zuppa di pesce cotta in un tegame di coccio e servita con delle fette di pane abbrustolito.
Da vedere a Orvieto
Orvieto è città davvero ricca di storia ed è difficile elencare tutti i punti di interesse storico-artistico. Certamente, oltre alla Cattedrale, al Pozzo di San Patrizio e della Cava, alla Necropoli del Crocefisso, merita attenzione la chiesa di Sant’Andrea, dell’XI secolo. Va però detto che i successivi restauri, fino al Novecento, ne hanno notevolmente cambiato l’aspetto. L’impianto è però degno di nota e all’interno sono ancora visibili un pulpito cosmatesco e un ciclo di affreschi che va dal ‘300 al ‘600. Nella cripta, le tracce della prima edificazione.
Della chiesa di San Domenico, edificata nel 1233 sulle rovine di un tempio pagano, oggi resta invece quanto sopravvissuto alla demolizione del 1932 per la costruzione dell’Accademia Femminile di Educazione Fisica; attualmente il complesso di edifici ospita un centro di addestramento della Guardia di Finanza. Al suo interno sono comunque visibili la cattedra utilizzata da San Tommaso durante le lezioni di teologia – che tenne a Orvieto tra il 1263 e il 1264 – e il Mausoleo del cardinale De Braye realizzato dal Arnolfo di Cambio attorno al 1282.
Altre tre chiese meritano l’ingresso: sono quelle duecentesche di San Francesco e di San Lorenzo e la trecentesca chiesa di San Giovenale. Tra i musei da non perdere il Faina, con reperti di arte antica e preistorica, nell’omonimo palazzo in piazza del Duomo, il museo Emilio Greco nel trecentesco Palazzo Soliano che ospita 32 sculture in bronzo e 60 opere grafiche che il maestro, autore delle porte bronzee del Duomo, donò alla città, e quello dell’Opera del Duomo. Vi è poi un lunghissimo elenco di palazzi, da quelli medievali a quelli di epoca moderna, che il turista incontra lungo il cammino. Accanto al Duomo, il Palazzo vescovile, dimora papale, venne fatto erigere da Benedetto VII nel 977 e nelle stanze del pianto terra ha sede il Museo archeologico nazionale con le “tombe Golini” del IV secolo a.C.
Oltre ai palazzi già menzionati, tra quelli medievali va visto almeno dall’esterno il duecentesco Palazzo Medici, presso Porta Romana: da notare le finestre dell’ultimo piano, con motivi ornamentali di pregio. Passando al Rinascimento, superano la trentina gli edifici degni di menzione oltre il già nominato Palazzo dei Sette e converrà, volendo, munirsi presso l’ufficio turistico di una guida che ne illustri in dettaglio particolarità e percorsi. Oppure basterà passeggiare per Orvieto godendosi lo spettacolo di un’architettura che non lascia mai senza emozioni. Anche Otto e Novecento hanno dato segni importanti negli edifici, come il lato destro del Palazzo dell’Opera del Duomo, che ha inglobato l’ala più antica.
Ottocentesco è pure Palazzo Faina, con la suddetta collezione. Meritano anche le stanze del palazzo, con le relative originali decorazioni, come quella della sala delle ore, di cui se ne rappresentano quattro: bagno, toletta, ricreazione e studio. Di Palazzo Nitti va notata la facciata con i simboli basilari secondo il fiorentino Smerrini che lo fece ricostruire: aria, lavoro, scienza, acqua, terra, fuoco, studio, sapere, energia, vita. Infine, l’arco del Palazzo comunale, fatto edificare nel 1857 in occasione della visita di papa Pio IX, ricorderebbe nello stile la michelangiolesca Porta Pia di Roma.
Informazioni
Ufficio turistico Iat: piazza Duomo 24, Orvieto, tel. 0763 341772 – 341911 – 343658, info@iat.orvieto.tr.it
Comune di Orvieto: via Garibaldi 8, Orvieto, tel. 0763 3061
Strada dei Vini Etrusco Romana: presso Servizio Turistico dell’Orvietano, Piazza Duomo 24, Orvieto; tel. 0763 306508, www.stradadeivinietruscoromana.it, info@stradadeivinietruscoromana.it
L’Artigianato
Orvieto è una città d’arte a tutto tondo, ed ancora oggi sono tanti gli artisti e gli artigiani che operano nella zona. Lungo le vie del centro vedrete numerose gallerie d’arte e laboratori. Interessante è soprattutto la produzione di ceramica: tantissime sono le botteghe in cui troverete pezzi decorati più tradizionalmente e prodotti più contemporanei. Un altro settore ancora fiorente è quello della lavorazione del legno, la bottega più rinomata è Michelangeli, che da oltre cinque generazioni lavora il legno con grande ingegno (www.michelangeli.it). Nel suo negozio, in pieno centro, potete trovare arredi e piccole sculture che raffigurano animali, alberi ed altri soggetti. Lo stile unico di Michelangeli contraddistingue anche diverse opere di arredo urbano che il laboratorio ha realizzato per la città. Girando per il centro troverete sculture, panchine e tantissime insegne di negozi ed enoteche che hanno l’inconfondibile stile “Michelangeli”.
Sosta camper
Orvieto
Conviene lasciare il camper ad Orvieto Scalo, nella parte bassa della città e poi salire in centro con la funicolare .
Nei pressi delle stazione ferroviaria, ad Orvieto Scalo, superato il parcheggio per le auto c’è l’Area Sosta Camper di Renzo Battistelli, dotata di tutti i servizi, 18 euro al giorno, tel. 0763 300161.
Bolsena
Area attrezzata sosta camper a pagamento “Guadetto” in via della Chiusa, a 500 metri dal centro storico e di fronte alla spiaggia, tel. 0761 798972.
Bomarzo
Parcheggio all’ingresso del parco.
Montefiascone
La cantina sociale di Montefiascone ha allestito una sua area sosta camper attrezzata. Nell’occasione è d’obbligo, ma non obbligatoria, una degustazione degli ottimi vini. Per arrivarci, via Grilli 2 a Montefiascone – GPS: N 42.53365 E 12.04229 – Tel. 0761 826148.
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