Cacciucco, una zuppa di storia livornese. Una pietanza che racchiude l’essenza della città toscana la capacità dei suoi abitanti di vivere con ironia rude e corrosiva. Una visita che rivela una città plasmata dal suo lungo legame con il mare, con scorci di unica bellezza.
Un piatto che è leggenda, identità, rito e usanza arrivata ai giorni nostri da tempo immemore. Livorno è il cacciucco, il cacciucco è l’anima di questa città toscana, della sua storia marinara e della capacità della sua gente di rendere grande ciò che è marginale, povero, di scarto. Vista con gli occhi di terra, siamo di fronte a una zuppa di pesce, una delle tante che punteggiano la tradizione gastronomica regionale di una nazione che ha 7.500 chilometri di coste ed è circondata dal Mediterraneo.
Sapore di casa
Tecnicamente il cacciucco è realizzato mischiando diverse qualità di pesci, crostacei e molluschi conditi con salsa di pomodoro e aceto, servita con pane tostato e agliato adagiato sul fondo del piatto. Tuttavia, per un livornese il cacciucco ha il sapore famigliare di casa, trattiene in sé un’aura quasi leggendaria che inizia dal nome, questo strano accrocchio di consonanti e vocali il cui etimo è incerto, l’origine sconosciuta, tanto che si fanno le supposizioni più ardite per spiegarlo. Secondo alcuni studiosi, la zuppa di pesce livornese avrebbe origini turche, deriverebbe da “küçük balik”che significa piccoli pesci nella lingua anatolica, uno degli ingredienti principali della preparazione che, lo ricordiamo, è un piatto dalle origini umili, realizzato con l’invenduto del pescato della giornata, di solito pesci di taglia troppo ridotta per essere cucinati altrimenti. Altri ne danno una lettura storico/politica, attribuendo la nascita del cacciucco a una sorta di mini globalizzazione in salsa toscana: il duca Ferdinando di Toscana, nel 1593, promulgò la legge cosiddetta livornina che permetteva ai mercanti marittimi di tutto il mondo di stabilirsi in città, assicurando libertà di lavoro e di culto. Proprio le varie influenze delle cucine dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma non solo, anche del Vicino Oriente e dell’Europa del Nord, correndo nelle stive delle varie navi insieme a merci di ogni tipo, trovarono un punto di sintesi proprio in cucina, come spesso accade nelle faccende umane. Altre ipotesi portano in Spagna, al cachuco, il nome di una specie di dentice, ma che può essere esteso al pesce in generale; addirittura questo nome bizzarro è stato accostato a quello del piatto tipico vietnamita canh chua cà, la zuppa di pesce agra che i marinai livornesi avrebbero assaggiato nei lunghi viaggi in Estremo Oriente e poi avrebbero riportato in patria. Certo, ipotesi fantasiose queste, quasi leggende, che sembrano il frutto del carattere più profondo dei livornesi, “popolo” conosciuto per la loro ironia tagliente e rude e per un certo gusto della burla e dello sberleffo che li contraddistingue ancor oggi. Rimangono impresse nella storia dell’Italia contemporanea le celebri “teste di Modigliani”, abbozzi di volti ritrovati inabissati in un canale che furono attribuite da insigni critici d’arte al celebre pittore e scultore livornese ma che poi si scoprì furono realizzate da studenti utilizzando un trapano elettrico. L’esperimento fu ripetuto in uno studio televisivo e tutto il paese rise di questa burla “alla livornese” che mise nel sacco tutta l’intellighenzia intellettuale con il candore di chi è avvezzo da secoli a sbeffeggiare i potenti.
Tornando al cacciucco, Pellegrino Artusi nel suo celebre volume “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” del 1891, descrive il cacciucco alla livornese e alla viareggina come due pietanze differenti, la prima ricca di gusto ma piuttosto ostica allo stomaco e la seconda più digeribile ma di certo meno appagante. Già Artusi nel diciannovesimo secolo prende atto della “Babele” della cucina regionale italiana e dei tanti nomi che stanno a significare pietanze completamente differenti tra loro, anche spostandosi di pochi chilometri da una località a un’altra. La ricetta del cacciucco codificata dall’Artusi mantiene quell’aleatorietà nella scelta degli ingredienti propria di questa pietanza, ossia quello che il mare ha donato al pescatore durante la giornata e che non è stato venduto. Ancor oggi la ricetta del cacciucco si fonda su questa mescolanza, anche se la preparazione del Cacciucco Tipico Tradizionale Livornese 5C (le stesse 5 lettere C che si ritrovano nel nome, non come le sbiadite italianizzazioni “caciucco”) è stata codificata dalla Pro Loco locale secondo un disciplinare che stabilisce provenienza della materia prima, ossia il pescato nei compartimenti marittimi della Toscana e gli altri ingredienti del territorio, come l’olio Evo toscano o il pane raffermo abbrustolito e agliato, anch’esso toscano. L’obiettivo è di preservare il Dna toscano da ogni tentativo di contaminazione globale, tra surrogati surgelati e pesci provenienti dall’altra parte del mondo. Solo seguendo la ricetta tradizionale depositata ci si potrà fregiare della certificazione Cacciucco 5C. Il simbolo gastronomico della città è celebrato anche in una manifestazione chiamata Cacciucco Pride, con una serie di appuntamenti che animano il centro della città, tutti uniti nel nome della totemica pietanza.
Essenza di mare
Commistione tra alto e basso, vita marinaresca che traspare da ogni cantone, proseguendo nel parallelismo gastronomico, Livorno è una città di mare per eccellenza che ha il suo cuore pulsante nel quartiere Venezia, costruito su un reticolo di canali come la più celebre Serenissima, qui chiamati fossi. Un complesso sistema che aveva una duplice funzione, quella difensiva e quella commerciale, permettendo il traffico delle merci su barconi: iniziato nel XV secolo, subì numerosi interventi e rimaneggiamenti.
Sulla via d’acqua principale, il Fosso Reale, si affacciano le costruzioni più interessanti, i palazzi appartenuti alle importanti famiglie cittadine e il Mercato delle Vettovaglie, o Mercato Centrale, imponente costruzione ottocentesca con una facciata larga ben 95 metri. Il Mercato delle Vettovaglie, così come tutto il centro storico livornese, subì gravi danni a seguito dei bombardamenti alleati nel 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale. I due ampi saloni centrali, sormontati da una tettoia costruita su capriate metalliche a 35 metri di altezza, erano occupati dal mercato del pesce e dallo spazio per la vendita di ortaggi e carni, mentre un complesso sistema di magazzini interrati, le cosiddette “cantine” vede le aperture direttamente sulle acque del canale per l’approvvigionamento delle merci. Ancora oggi è possibile addentrarsi in questo mercato per cogliere l’essenza di Livorno e dei suoi abitanti e mettere qualcosa sotto i denti nei tanti locali che si affacciano all’interno.
Simbolo di Livorno è Piazza Mascagni, il belvedere che si affaccia direttamente sul Tirreno, costruito fin dagli anni ’20, con la sua pavimentazione a scacchiera realizzata con 34.800 piastrelle bianche e nere e il tempietto sostenuto da colonne a sezione circolare. Anche qui i bombardamenti picchiarono duro, poi i lavori di rifacimento hanno riportato l’antico splendore di questo luogo, ancora oggi teatro di manifestazioni musicali e location per lo struscio dei livornesi.
Altro simbolo architettonico della città toscana è la Fortezza Vecchia, costruita a guardia del porto, con le sue due torri, una più antica a base quadrata, l’altra a pianta circolare. Nella sua lunga storia questo edificio è stato adibito a funzioni militari, a prigione, a sede delle dogane portuali. Il complesso difensivo livornese prevedeva anche una Fortezza Nuova, una vera e propria cittadella voluta dai Medici per respingere attacchi provenienti dal mare, poi successivamente smantellata per fare posto allo sviluppo urbanistico della città, infine gravemente danneggiata dalle bombe alleate. Passeggiando nel quartiere della Venezia è possibile visitare lo spazio che fu occupato dalla costruzione, oggi diventato parco pubblico collegato al resto della città grazie a un sistema di ponti che superano i fossi adiacenti.
Itinerari d’acqua
La centrale Piazza della Repubblica, la più importante di Livorno, è anch’essa frutto di un’opera di ingegneria che coinvolge il sistema dei fossi: lo spazio aperto è stato ricavato convogliando le acque del Fosso Reale in un tunnel lungo 240 metri e tuttora navigabile che ha permesso la costruzione della piazza, nella quale hanno trovato posto le statue dei granduchi lorenesi Ferdinando III e Leopoldo II, che ancora oggi “guardano” lo svolgersi della vita cittadina. Altro edificio degno di visita è la Chiesa di Santa Caterina, realizzata a partire dal 1720: la pianta è ottagonale, sormontata da una cupola ottagonale alta quasi cinquanta metri, totalmente affrescata nel corso del diciottesimo secolo, uno delle superfici affrescate più grandi della Toscana. L’altare maggiore è adornato da una pala del Vasari raffigurante L’incoronazione della Vergine, ricollocata dopo un lungo restauro che ne ha restituito tutto lo splendore originario. La chiesa contiene anche un monumentale organo ottocentesco, tuttora funzionante dopo un restauro avvenuto nel 2011, anch’esso uno dei più importanti di tutta la regione.
Tutto il centro storico di Livorno può essere visitato seguendo le vie d’acqua dei fossi con una gita in battello che permette di scoprire scorci caratteristici e di ripensare alla fiorente attività commerciale che animava il quartiere della Venezia e il quartiere Pontino, nel passato sede della lavorazione dei prodotti ittici, acciughe, baccalà e salacche. L’imbarco per questo tour della durata di circa un’ora e mezza avviene dal pontile principale, di fronte al monumento dei “Quattro Mori”, anch’esso uno dei simboli della città toscana, che celebra la vittoria sui pirati barbareschi che razziavano le coste toscane e minacciavano il trasporto marittimo. Questo complesso scultoreo raffigura Ferdinando I de’ Medici insieme a quattro mori in catene dall’espressione sconfitta e sofferente. Opera controversa questa, soprattutto in tempi di revisionismo nel quale le statue sono prese di mira da chi protesta contro razzismo e simboli di odio oppressione, ma che i livornesi si tengono ben stretta, consci del valore storico e della pregevolezza della fattura.
Esplorando i dintorni di Livorno, una tappa d’obbligo è il Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero, costruito in stile barocco su quello che un tempo fu chiamato il “Monte del Diavolo”, covo di briganti per via della presenza di grotte nelle quali i predoni trovavano rifugio. Le grotte, oggi visitabili, furono utilizzate anche durante il secondo conflitto mondiale dalla popolazione livornese per sfuggire ai bombardamenti.
Altro luogo di interesse è la scogliera di Calafuria, con il suo aspetto selvaggio e due torri seicentesche fatte costruire dai Medici per combattere la guerra (vittoriosa) contro i pirati barbareschi: una denominata Calafuria e l’altra “del Boccale” sono la testimonianza della volontà di controllo e dominio sulle acque del Tirreno.

Curiosità: Cinque e cinque
Altro simbolo gastronomico di Livorno è il “Cinque e cinque”, panino realizzato con baguette farcita con torta di farina di ceci, più comunemente chiamata farinata. A questa umile preparazione è stato dedicato un cammino gastronomico nel centro storico sulle tracce di questa pietanza, il cui nome deriva dall’abitudine di consumare insieme “cinque lire di pane e cinque lire di torta di ceci”.
Dove Sostare
Camping Miramare, via del Littorale 220 – 57128 Livorno, tel. 0586/580402, www.miramare.me
Area attrezzata sosta camper Parco Del Mulino, Via Voltolino Fontani 5, localita’ Ardenza Livorno – 0586.509567. Solo su prenotazione.
Info
Dove mangiare il Cacciucco Certificato 5C
ANTICO MORO, Via Enrico Bartelloni, 27
PORTO DI MARE, Viale Italia, 89
LA PERSIANA, Scali Novi Lena, 38 (sotto le cantine)
OSTERIA LA VOLPE E L’UVA, Scali Rosciano, 16
GRAN DUCA, P.zza G. Micheli, 18 (4 Mori)
TRATTORIA LA LUPA, Via del Testaio, 21
L’ANCORA, Scali delle Ancore,10 (zona Venezia)
RISTORANTE GENNARINO, Via Santa Fortunata, 11
STUZZICHERIA DI MARE, Piazza Mazzini, 66
CANTINA SENESE, Borgo Dei Cappuccini 95
Testo Bernieri – Foto D.R. – Rivista Vita in Camper n. 130 Set/ott 2020