Liguria di Ponente: viaggio tra i borghi dell’entroterra

A spasso tra i borghi del Ponente ligure per un itinerario tra storia, natura e tradizioni ancora vive. Si parte dall’entroterra che in pochi chilometri permette di passare dal mare alle Alpi Marittime, su cui si abbarbicano borghi antichi.

Dolceacqua panorama

L’entroterra del Ponente ligure, per secoli, è rimasto isolato dalle principali vie di comunicazione a causa dell’impervietà dei luoghi e della povertà delle risorse, che hanno provocato un progressivo spopolamento del territorio. Il paesaggio è rimasto così per buona parte incontaminato: lo sviluppo turistico, dagli anni del boom economico, ha dato un notevole impulso alle località costiere, con esiti spesso discutibili, ma non ha toccato l’entroterra che, solo adesso, dopo anni di abbandono, comincia ad essere valorizzato, con intelligenti opere di ristrutturazione del patrimonio edilizio e con valide iniziative artistiche e culturali. A conferma del valore che oggi viene attribuito a questo territorio, Triora, Apricale e Dolceacqua, che sono tra i più caratteristici borghi di questa zona, si possono fregiare della Bandiera Arancione, che è una certificazione di qualità e di interesse ambientale e turistico, attribuita dal Touring Club Italiano. Tra i requisiti che ne determinano l’assegnazione, oltre alla bellezza del paesaggio e alla situazione ambientale circostante, vengono considerati i servizi turistici, l’offerta di prodotti genuini e tradizionali ed infine la permanenza e la valorizzazione delle tradizioni socio- culturali che caratterizzano il territorio. Ognuna di queste località, che appartengono anche al club dei borghi più belli d’Italia, ha saputo valorizzare al massimo le sue caratteristiche peculiari.

Triora, il paese delle streghe
Un’atmosfera un po’ dark caratterizza Triora. Per carità, il paesaggio è pur sempre aperto e ridente, ma una serie di eventi storici, opportunamente valorizzati, ha contribuito a fare del borgo un luogo assolutamente particolare.

Triora
Triora

Il primo di questi fatti storici è il processo alle streghe, che, a partire dal 1587, si svolse a Triora. Una terribile carestia aveva colpito la zona e gli abitanti del paese, come spesso succedeva in quel periodo, non trovarono di meglio che attribuirne la colpa ai presunti poteri malefici delle streghe, accusate tra l’altro di mangiare i bambini e di essere la causa della carestia e dell’infertilità del bestiame. Venti donne del posto furono immediatamente incarcerate; due di esse morirono di stenti in carcere; altre duecento furono inquisite. Poiché le delazioni, estorte dagli inquisitori con mezzi fisici e psicologici, portarono alla denuncia di alcune donne di rango elevato, il Consiglio degli Anziani di Triora, che pure aveva chiamato gli inquisitori, fece una parziale marcia indietro, lamentandosi con il governo di Genova per gli eccessi nelle torture, ma solo nel 1589, dopo infiniti contrasti tra potere politico e potere religioso, si arrivò a sospendere il processo. I documenti rimasti, che si trovano all’Archivio di Stato di Genova, non arrivano a spiegare come finirono le duecento presunte streghe: probabilmente, dopo la prigionia e le torture, furono liberate, comunque si tratta di uno dei più vergognosi processi avvenuti in Italia in quel buio periodo storico. Il secondo evento storico, più recente ma altrettanto drammatico, ha lasciato tracce che il velo del tempo trascorso ha reso pittoresche, ammantandole di un’affascinante malinconia. Gran parte del vecchio borgo è stata distrutta nel 1944 dai tedeschi in ritirata, e le rovine di tanta violenza contribuiscono oggi a creare l’atmosfera romantica dell’insieme.
Triora deve la sua origine al latino “tria ora”, ovvero tre bocche: quelle del cerbero rappresentato nello stemma. Secondo alcuni indica i tre fiumi alla cui confluenza si trova il territorio, secondo altri i tre prodotti principali (grano, castagna e vite) su cui si basava la sua economia. Antica Podesteria Genovese, un tempo città fortificata e nodo cruciale dei commerci fra Liguria, Francia e Piemonte, oggi, per quanto in parte spopolata e ancora segnata dalle distruzioni operate dai tedeschi, conserva un notevole fascino. Inoltrarsi dentro i caruggi, sotto volte e archi scavati nella roccia, negli antri scuri di case diroccate, è come tornare indietro nel tempo. Una sorta di sbigottimento medievale prende a percorrere tenebrosi portici, oscuri angiporti, gradinate, strade catacombali annerite dal fumo di secoli, da incendi saraceni o dal tritolo nazista. Riemergere al sole e alla luce brillante della Valle Argentina, è quasi una liberazione. I carruggi del paese, i negozi, tutto sembra ricordare loro, le “bagiue”, le misteriose donne che la notte si incontravano segretamente presso la Cabotina, un casolare isolato. Queste suggestioni hanno portato anche alla pubblicazione di infiniti libri sul tema e ad altre manifestazioni culturali collegate.
Il principale prodotto del luogo è il pane, nella sua caratteristica forma rotonda. Molto apprezzati i formaggi d’alpeggio, tra i quali spicca il bruzzo, uno dei più antichi dell’Alta Valle Argentina: ottenuto dalla fermentazione naturale della ricotta, ha un sapore leggermente piccante, è un ottimo condimento per la pasta e si sposa molto bene con il pane e il pomodoro fresco. Il territorio dona anche castagne, miele e funghi, principalmente porcini e cicotti (tricholoma). Fra i piatti locali spiccano le torte di patate e verdure, chiamate semplicemente paste, cotte ancora sul treppiede, in una teglia ricoperta da un testo, sul quale vengono poste braci ardenti.

Laghetto delle Noci
Laghetto delle Noci

A poca distanza marita una visita Molini di Triora, dove l’acqua è abbondante e il cui nome deriva dalla presenza di mulini. Le prime notizie storiche in questo senso risalgono al Mille quando nell’alta valle Argentina fu testimoniata la presenza dei monaci benedettini che avviarono la costruzione dei primi mulini per la lavorazione del grano, attorno ai quali si svilluppò una comunità rurale e contadina. Verso il tardo Medioevo, Molini di Triora divenne un importante centro grazie alla costruzione dei ventitré mulini lungo i torrenti Argentina e Capriolo. L’incuria e alterne vicende storiche portarono alla scomparsa della maggior parte dei mulini: sono ormai visibili solo due mulini che trovano rispettivamente il primo nei pressi del bel Laghetto dei Noci (all’uscita del paese in direzione Triora) e l’altro alla fine di via Nuova poco dopo il bivio per il cimitero.

Apricale, il paese che sale
Il borgo medioevale di Apricale è situato nell’entroterra di Bordighera e Ventimiglia, a 13 Km dal litorale, e, circondato da uliveti, risente ancora della vicinanza del mare.

Apricale
Apricale

La campagna circostante brilla per i riflessi argentei degli uliveti e per il verde cupo delle altre colture, fino alle masse più dense dei castagni e dei pini dei boschi sui rilievi vicini. La felice posizione del paese è all’origine del nome, che deriva da apricus, esposto al sole, ma la sua principale caratteristica, che ha incantato nel tempo i suoi visitatori, è lo scenografico aspetto dell’abitato, una sinuosa cascata di antiche case di pietra allungate sulla dorsale di un erto pendio dominato dall’altura del Castello. Un dedalo di caruggi, gli stretti vicoli che cingono l’altura e si frammentano su più livelli, collegati da ripidissime scalinate e passaggi coperti, forma il tessuto viario immutato da un millennio, su cui si affacciano alte case di pietra spesso unite fra loro da archi. Il mondo di ieri, ormai quasi disabitato, oggi finalmente è aperto al visitatore, che vi potrà trovare alloggio, ristoro e botteghe d’arte, tornate a rivivere con gran gioia dei visitatori. Il rinnovamento di Apicale investe anche il campo artistico: seguendo il dedalo di stradine, ci si imbatte in bellissimi murales, dipinti sulle facciate delle case e in botteghe dalle insegne e dalle vetrine piene di colori; affacciandosi poi sull’improvvisa apertura della piazza del municipio e della parrocchiale, si rimane incantati dalle fiabesche scenografie dipinte da Lele Luzzati per il Teatro della Tosse, e infine, alzando gli occhi, si sobbalza nel vedere una bicicletta appesa al campanile, che sembra arrampicarsi verso il cielo in una bizzarra ma non certo irriverente ascesi. Il borgo presenta anche varie risorse culinarie: il menu di Apricale comincia con un antipasto di verdure ripiene (fiori di zucca, torta verde, sardenaira, che è una sorta di focaccia al pomodoro), prosegue con un primo piatto di ravioli (di carne, borragine o bietole) o con i tagliarini al pesto, mentre per i secondi la scelta è tra cosciotto d’agnello al forno, coniglio con le olive cotto nel vino Rossese e cinghiale con polenta. Come dessert, abbiamo le pansarole, servite con lo zabaione: l’occasione per gustare questa specialità locale è la sagra delle pansarole, la domenica successiva l’8 settembre.
Non mancano fabbriche artigianali di birra, prodotte su ricetta medievale.

Dolceacqua: un’incantevole cartolina

Le botteghe, l’arte, la posizione felice e pittoresca….tutto ciò rende il celebre paese di Dolceacqua un’incantevole cartolina. Fa parte delle Bandiere Arancioni del Touring e del circuito dei Borghi più Belli d’Italia.

Dolceacqua panorama
Dolceacqua panorama

Frequentato fin dall’Età del Ferro, il primo documento che cita Dolceacqua risale al 1151 quando i conti di Ventimiglia fecero costruire il primo nucleo del castello alla sommità dello sperone roccioso che domina la valle. Secolo dopo secolo, ai piedi del castello si sviluppò l’abitato della Terra (Téra nel dialetto locale), seguendo le linee di livello ai gironi concentrici attorno alla rocca e collegati fra loro da ripide rampe, fino al limitare delle acqua del fiume Nervia. Nel corso del ‘400 fu mano a mano costruito il nuovo quartiere del Borgo, al di là del torrente Nervia, e i due nuclei vennero collegati dal Ponte Vecchio, un elegante ponte a schiena d’asino in stile romanico a un solo arco di 33 metri di luce, simbolo universale di Dolceacqua anche perché il celebre pittore francese Claude Monet ne fece il soggetto di una serie di dipinti. Si può dire che tutta la storia del borgo ruoti intorno al suo possente castello. Castello Doria, da sempre al centro di aspre lotte, da torre medievale difensiva divenne durante il Rinascimento una residenza signorile fortificata, con nuovi locali affrescati e arredati. Il 27 luglio 1744 durante un episodio della guerra di successione austriaca fu parzialmente distrutto dalle truppe francesi e spagnole. Subì ulteriori danneggiamenti nel terremoto del 1887. Oggi è visitabile: ad accogliere il visitatore c’è un giardino con una vista panoramica sul Borgo e sul Ponte vecchio definito da Claude Monet “un gioiello di leggerezza”. Ma per arrivarvi dovrete prima passare tra i vicoli dove avrete la possibilità di assaporare la vera atmosfera medievale tra botteghe di artisti e di artigiani che caparbiamente portano avanti tradizioni secolari.

 

Un susseguirsi incessante di borghi
Il territorio dell’estremo ponente ligure è disseminato di molti altri borghi: le specifiche caratteristiche di ognuno sono così marcate da renderli unici e inconfondibili. Alcuni presentano una struttura verticale e sono aggrappati al pendio dei monti, altri, invece, si estendono in orizzontale su un crinale, dominando da una parte le valli che degradano verso il mare, dall’altra le cime delle Alpi Marittime.

Airole, paese Bandiera Arancione, conserva l’antica struttura medievale ad anelli concentrici; Pigna offre una deliziosa piazza medievale, coperta da una loggetta a volta, sorretta da pilastri bassi e grossi; Badalucco presenta le tipiche case di pietra affacciate su stretti vicoli, passaggi coperti, e una “Galleria d’Arte all’aperto”, con opere in ceramica e legno, sculture, fontane decorate in modo fantasioso e giganteschi murales che coprono superfici in origine diroccate e anonime; Baiardo termina con uno sperone di roccia su cui sorgono le pittoresche rovine della vecchia chiesa distrutta dal terremoto del 1887; Perinaldo, allungato su un crinale, offre un magnifico panorama: patria dell’astronomo Cassini, è sede di un Osservatorio Astronomico Comunale da cui si può osservare il cielo; Seborga, posta su un’altura che domina la sottostante valle coltivata a mimose e ginestre, è un piccolissimo borgo autoproclamatosi principato; Taggia possiede un centro storico medievale di insospettabile ampiezza e severi palazzi nobiliari con blasoni, portali e bassorilievi scolpiti in pietra nera: il complesso conventuale di San Domenico, della fine del Quattrocento, è stato centro di cultura e di arte per tre secoli. Meritano una citazione anche Castelvittorio, Isolabona e Rocchetta Nervina.
Per chi ama l’arte sacra minore, infine, val la pena di segnalare, all’interno delle chiese di tutti questi borghi, la presenza di statue di santi o di crocifissi, commoventi per l’ingenua espressività.

Un caso unico: il Principato di Seborga
Un frammento del passato si materializza: il Principato di Seborga.

Seborga panorama
Seborga panorama

Fu donato nel 954 dal Conte di Ventimiglia ai monaci Benedettini e quindi il priore ottenne il titolo di principe. Nel XVII secolo fu creata una zecca e si cominciò a coniare moneta con valore legale. Il feudo di Seborga fu venduto nel 1729 dai Benedettini ai conti di Savoia, e con loro passò poi al Regno di Sardegna e all’Italia. Pare che il Congresso di Vienna si sia dimenticato di citare nei suoi trattati il Principato di Seborga (forse perché era veramente minuscolo), e quindi oggi, per la tenace volontà dei suoi abitanti e del suo principe democraticamente eletto (Giorgio I, nella vita un floricoltore), il piccolo paese si batte per la sua indipendenza, ha suoi ministri e ambasciatori, emette francobolli e passaporti ed intende battere una sua moneta, il “Luigino”. Per chi sale da Bordighera, un vistoso cartello blu, posto davanti ad una garitta, per fortuna senza soldati di guardia, dà il benvenuto nell’esclusivo principato di Seborga.

I borghi in festa
Il folclore ligure vive in una serie di manifestazioni profondamente radicate: volendone citare qualcuna relativa alla zona di cui stiamo parlando, a Taggia, ai primi di febbraio, si celebra la festa di San Benedetto, con l’accensione di falò e lo sparo di “furgari”, piccoli razzi lanciati tra i piedi dei presenti. A Baiardo, il giorno di Pentecoste, si celebra la storica festa della Barca, per ricordare la tragica fine della figlia del conte di Baiardo, mandata a morte dal padre assieme al giovane amato: ogni anno si innalza nella piazza del paese un grande albero, attorno al quale la gente danza in circolo cantando una ballata che rievoca il fatto. Per concludere, sempre a Taggia, nel mese di luglio, si svolge la festa della Maddalena, che culmina con l’originale danza della Morte, accompagnata da una banda che alterna una tarantella ad una marcia funebre.

Sua maestà l’oliva taggiasca
Tra i prodotti tipici della zona, particolare attenzione merita l’oliva taggiasca.

Columella, scrittore latino, nel “De re rustica”, afferma che “olea prima inter omnium arborum est”. Già in epoca romana, quindi, l’olivo era considerato la pianta più importante del bacino del Mediterraneo. La costa ligure era già considerata da Strabone una regione olivicola, ma è ai monaci benedettini del convento di Taggia che, a partire dal 1100, l’oliva taggiasca deve la sua forma attuale, piccola e ovoidale. Viene così prodotto un olio di insuperata qualità, famoso per la sua finezza, la leggerezza, il colore, le caratteristiche organolettiche.
La stagione della Taggiasca è lunga: la raccolta inizia in novembre, ma finisce all’inizio di primavera e non è difficile assistere alla creazione dell’olio nei piccoli frantoi contadini. Anche fuori stagione di raccolta, l’olio extravergine di oliva è sempre fresco. Conservati per il piacere di gustarli in ogni caso sono altri prodotti, quali il paté di olive, il tonno sott’olio, le acciughe sotto sale, i funghi e alcune verdure.

Aree Sosta

Maggiori informazioni: www.lamialiguria.it

 

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