Pier Luigi Alinari: i miei primi ottant’anni

Storico imprenditore del settore caravanning è stato a capo di aziende leader nel settore: in passato fornitore degli arredi del marchio Roller, ha rilanciato la fallimentare Caravans International, ha fondato la McLouis, in Sea ha creato i marchi Dream e Joint e nel 2010 fonda P.L.A. Oggi ha ottant’anni e una mission da compiere: salvare il Made in Italy nel settore camper

Lei è nel settore a vario titolo dal 1970… Qual’è stato il momento più di soddisfazione e quale il momento più buio della sua lunga carriera?
I momenti di soddisfazione sono stati tanti, al di là dei successi imprenditoriali, per una persona come me hanno contato tanto i riconoscimenti che ho ricevuto, anche nel lavoro extra aziendale. In Anfia, per esempio, o anche quando amici con importanti cariche politiche e amministrative mi chiedevano una mano a far andare le cose nel verso giusto. Mi sono impegnato molto anche in quel settore, ho fatto la mia parte in questo senso e naturalmente a titolo gratuito… Ho le mie idee insomma, anche se non amo dimostrarle in pubblico. Un momento negativo? Fu a metà anni 90, mi resi conto del peso di una vita senza avere mai avuto figli.

Sotto la sua direzione sono nati tanti progetti, alcuni hanno avuto grande successo. McLouis tra questi, un brand che ha conquistato subito. Luis, sappiamo, si riferisce proprio a Luigi… ma Mc?
Innanzi tutto il successo immediato che ebbe McLouis lo si deve alla bontà del prodotto, e di questo il merito è tutto dei progettisti di allora. Le svelo come è nato il nome: ero all’aeroporto di Varsavia e c’era un fast food tipo McDonald denominato Louis: toh’, mi son detto, dovessi fare un marchio lo chiamerei McLouis… Ecco qui.

Altri marchi come Dream non hanno avuto la stessa fortuna…
Continuo ad essere convinto del fatto che Dream fosse una buona idea. Sea in quel momento non era però il luogo ideale dove far crescere e sviluppare le idee. Troppe persone sbagliate nel posto sbagliato, gelosie, poca collaborazione…

Ieri e oggi, grandi aziende e realtà familiari… Cosa possono esprimere?
Cosa intende per grande azienda? Le racconterò una cosa: molti anni fa visitando la fabbrica automobilistica Innocenti, ai tempi di De Tomaso, rimasi impressionato dalla sua grandezza, file infinite di banchi e tecnigrafi, uno addirittura per i disegni in scala 1:1… Ma le vendite di autoveicoli erano minime e molti i soldi che prendeva dallo Stato… Era quella una grande azienda? Oggi se si fa la proporzione tra il numero di “grandi” aziende presenti sul mercato e i veicoli prodotti… bé, viene spontaneo farsi delle domande. Di sicuro più grandi sono le aziende più grandi sono i problemi di fronte alla crisi. Cosa rimpiango di ieri? Il rapporto con le banche, un tempo ti stendevano i tappeti rossi quando entravi. Oggi devo ricorrere ai miei risparmi. Ma era diverso anche il rapporto con la rete vendita: facevano la fila per poter diventare concessionari, investivano, compravano e ad aprile avevamo già venduto tutta la produzione. Era facile programmare.

Pier Luigi Alinari è sinonimo di Made in Italy. Cos’ha la tradizione italiana che le fa credere che i nostri prodotti siano vincenti? E sui nuovi mercati che immagine ha il Made in Italy nel nostro settore?
Sono impegnato in prima persona per mantenere il capitale italiano in questo settore. I gruppi stranieri non lasciano nulla o quasi. Mi lasci dire che a stile non abbiamo un asso nella manica… Ne abbiamo cinque! Pecchiamo semmai nel modo un po’ cialtronesco di lavorare. I mercati emergenti dell’est Europa apprezzano eccome lo stile italiano, e poi con noi risparmiano qualcosa.

Lei è un personaggio che non molla mai, a 80 anni è ancora in prima linea… Vede in questo ambito giovani talentuosi? Quale consiglio vorrebbe dare alle giovani generazioni?
Persone in gamba ce ne sono… Anche se non sono più giovanissime. Tra i giovanissimi vedo persone promettenti, vedremo come crescono, anche se non noto ragazzi che “soffrono” per l’azienda nella quale lavorano. A volte è vero sacrificio, ho avuto collaboratori che hanno compromesso la propria famiglia per il lavoro. Non serve arrivare a tanto, ma ai ragazzi di oggi dico questo: se non ci si mette passione in quello che si fa non si va da nessuna parte, non si costruisce nessun futuro.

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